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Caso 107

Babele

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Uno straniero magro e sporco di fango giunse al Tempio una notte e chiese del maestro Kaimu. Il maestro fu svegliato e portato al tempio, dove lo straniero disse:

“Per anni ho attraversato questa terra crudele, cercando il linguaggio di programmazione perfetto. Nominatene uno e l’avrò provato, sia esso veloce o lento, di alto o basso livello, da Ada a Zeno. Ma qualunque siano i vantaggi ci sono anche degli svantaggi, quindi preparo le mie cose e mi avventuro nuovamente—il che in questo caso mi ha portato alla vostra porta.”

Kaimu chiese allo straniero di descrivere il linguaggio che desiderava:

“Dev’essere utilizzabile a livello enterprise,” rispose lo stranieo, “lato client e lato server, nello scripting, nelle shell e nei fogli di calcolo. Mi serve in tempo reale, multi-threaded e opzionalmente orientato agli oggetti; con garbage collection, rilevamento dei deadlock, eccezioni personalizzate, ridimensionamento automatico degli array di cose ed espressioni regolari per confrontare le stringhe. Voglio la simplicità del BASIC, la purezza dello Smalltalk, la brevità dell’Haskell, la velocità del C, la consistenza del Lisp, la leggiblità del Python, la flessibilità del Perl, e la portabilità di... Java, credo, ma con binding al codice nativo che non siano un macello.”

“Allora domani mattina ti assisteremo come meglio potremo,” disse Kaimu. “Ma stanotte dovrai stare nella capanna del carpentiere sotto il muro sud.”

Lo straniero si inchinò e partì per fare il letto tra la segatura e i trucioli. Quando Kaimu si incamminò verso le sue camere un monaco chiese, ”Qual è il vostro piano per lui?”

“Quando giungerà l’alba,” rispose il maestro, “il nostro ospite vedrà che sui muri della capanna saranno disposti diecimila strumenti, ciascuno creato per uno scopo specifico. Nessuno potrebbe scambiare il martello con lo scalpello, e nessun vero carpentiere rinuncerebbe a uno per l’altro.”

- - -

Alle prime luci dell’alba lo straniero tornò al cancello del Tempio, per farsi salutare da Kaimu e dal monaco.

“Stai ancora cercando il linguaggio dei tuoi sogni?”

“No!” rispose lo straniero. “Giacché nella capanna ho trovato un pugnale meraviglioso, non più grande della mia mano, la cui impugnatura si apriva per rivelare le cose più stupende: pinzette e stuzzicadenti, pinze e punte da trapano, chiavi inglesi e alesatori e righelli e piccole spade troppo numerose da contare! Maneggiandolo ho capito che il mio destino è di forgiare ciò che ho sempre voluto—un linguaggio fatti di altri linguaggi, uno strumento per porre fine al bisogno di altri strumenti!”

E detto questo lo stranierò si inchinò e ripartì.

Il monaco si girò verso Kaimu, la cui mascella si era piuttosto allentata. “Cosa dicono gli annali sul soggetto della Lezione Incompresa?”

“Che anch’essa porta saggezza,” disse il maestro, “ma solo al maestro sfortunato. Senza dubbio sarei stato efficace il doppio se solo fossi stato furbo la metà.”

“E lo straniero?” chiese il monaco. “Certamente fallirà nel suo tentativo, giacché quel coltello che apprezza tanto non contiene né il martello né lo scalpello. E se dovesse parzialmente riuscire ancora peggio, poiché avrà aggiunto un altro linguaggio a un mondo che già annega nella confusione.”

”Lascialo provare, e buona fortuna a lui!” disse Kaimu. ”Se non fosse per gli stolti della sua specie, non avremmo il Perl o il Python, la Bourne shell o il Tcl, e il mondo sarebbe un posto più povero. Mi addolora solo che né io né tu siamo simili stolti, giacché non provando mai l’impossibile, non potremo mai sperare di ottenerlo.”

Dunque il maestro e il monaco lasciarono il cancello, e andarono al Tempio insieme per salutare il mattino.