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Un certo monaco, famoso per l’eleganza del suo codice, aveva l’abitudine di rifattorizzare il codice dei suoi compagni in modo che corrispondesse. “Perché l’inconsistenza moltiplicata diventa caos,” spiegava, “e dal caos nasce la complessità, e la complessità porta confusione, e la confusione è la madre di diecimila difetti.” Questo giunse alle orecchie della maestra Suku, che più di tutti premiava la chiarezza del codice. Ella incontrò il monaco, dicendo: “Mi serve il tuo aiuto per risolvere un problema.” Suku svelò al monaco un grande repository, casa del codice sorgente della più antica applicazione del Tempio. Nel corso dei decenni innumerevoli monaci e suore erano passati per le sue cartelle: aggiungendo, rimuovendo, rifattorizzando, rifinendo, provando un nuovo framework qui, un nuovo approccio lì. Diverse volte l’intero codice era stato migrato da un linguaggio a un altro, sfregiando i livelli più profondi con design pattern molto bizzarri. In una classe di utilità le convenzioni di denominazione erano così selvaggiamente inconsistenti che il monaco ebbe le vertigini e dovette sdraiarsi sul pavimento. “Metti ordine nel caos,” disse Suku, e uscì. Il monaco procedette coscienziosamente a riscrivere l’applicazione nello stile che aveva perfezionato in così tanti anni. Scelse un nuovo, scintillante framework per sostituire tutti quelli arrugginiti, quindi prese un angolo polveroso del repository e lavorò lentamente verso l’esterno: aggiungendo, rimuovendo, rifattorizzando, rifinendo. Il monaco aveva convertito solo una minima frazione dei file quando qualcuno bussò alla porta. “Emergenza!” disse l’abate senza fiato che stava fuori, afferrando il monaco per la veste e tirandolo fuori dalla porta. “Disastro! Disordine! Scadenza! Condanna! Non ci sono abbastanza persone e non c’è abbastanza tempo; ci servi ora, vieni, vieni!” Il monaco protestò, chiedendo che qualcuno chiamasse la maestra Suku in modo che potesse intervenire, ma l’abate atterrò il monaco e lo trascinò lungo il corridoio come un rumoroso sacco di riso. Quella sera Suku trovò il monaco, legato alla sua nuova postazione di lavoro da molti rotoli di corda robusta. “Ho visto i tuoi commit nel grande repository,” disse la maestra, afferrando un lungo pugnale che gli mise alla gola. “Dove una volta c’erano cento stili, ora ce ne sono centouno.” The monk had converted the merest fraction of the files when there came a pounding on his door. Fece un gesto veloce. Il monaco rabbrividì, aspettandosi di sentire il sangue spargersi sulle vesti. Invece il coltello tagliò un filo dei nodi di canapa. “Non perfetto, ma migliore,” disse Suku, e uscì. Fece lo stesso per cento sere finché il monaco fu libero. Dopo questo il monaco interferì meno nel codice dei propri colleghi, e iniziò a vantarsi della sua abilita di mimare i design pattern quando gli era assegnato di modificare l’applicazione di qualcun altro. “È ancora una verità della rifattorizzazione,” diceva ora, “che a volte uno deve introdurre il caos per portare l’ordine, proprio come la strada verso il mare a volte scala una montagna prima di inabissarsi nuovamente. Eppure l’ordine non è una destinazione: è solo una direzione da complesso a semplice, da più a meno. La maestra aveva chiesto meno ma io pensavo solo a uno, e ho scelto una strada degna di Collatz quando una semplice sottrazione sarebbe bastata. Tradotto da Alessandro Desantis. Un estratto da The Codeless Code, di Qi (qi@thecodelesscode.com). Distribuito sotto l' Creative Commons Attribution-NonCommercial 3.0 Unported License. |