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(Sorry, this page has not been translated by the translator you selected.) Il giovane monaco Djishin s’avvicinò al Maestro Kaimu e disse: “Parlatemi del Tempio del Bianco Cielo di Ferro, dove avete fatto il vostro primo apprendistato.” Kaimu disse: “È un posto strano e pericoloso. La conoscenza è sospesa a mezz’aria, spessa come la nebbia, tuttavia se ti soffermi laggiù per un’ora, ne uscirai sapendone meno di quando sei entrato.” Djishin pensò “Devo vedere coi miei occhi come ciò sia possibile”. Quindi si mise in viaggio. Secondo le sue mappe, il tempio era immerso nei meandri di una collina boscosa, alle pendici di un’alta catena montuosa; un cartello sulla strada principale indicava un sentiero abbandonato. Djishin seguì il sentiero attraverso un’imponente Porta AND e vide che le terre al di là erano avvolte nella nebbia, un fluttuare di vapori provenienti da un boschetto di cipressi più in alto sulla collina. La nebbia si attorcigliava attorno alla base di una pallida torre posta al centro dell’area del tempio. Il sentiero, ora contrassegnato da pietre umidicce, guidò Djishin fino ai suoi gradini. “Che posto è questo, fratello?” chiese ad un monaco vestito di bianco seduto sulla scalinata. Il monaco alzò lo sguardo dal codice Haskell che stava studiando. “Gli stranieri la chiamano Torre della Zanna d’Elefante, anche se noi le diamo un altro nome. Ma rispondi a questa domanda: Sei un ingegnere informatico?” “Lo sono, di cuore e di fatto” rispose Djishin. “Se lo sei anche di pensiero, allora segui il sentiero fino al boschetto di cipressi e parla con le monache che meditano laggiù”, disse il monaco vestito di bianco. “La torre non fa ancora per te.” Nel boschetto la nebbia s’ispessiva in una massa calda, dal sapore amaro; più in là si sentiva un mormorio d’acqua gorgogliante. Gli alberi si diradarono e Djishin si ritrovò in una radura dove quattro monache in tonache bianche sedevano contemplando un monolito di basalto nero scintillante. Sulla sua superficie erano incise delle scritte di un genere che il monaco non aveva mai visto prima: (>>=) :: m a -> (a -> m b) -> m b return :: a -> m a “Che pietra è questa, mie Signore?” chiese Djishin. “La chiamiamo la Monade” disse la prima monaca. “Perché la venerate così?” chiese Djishin. “Attraverso di essa, si può toccare ciò che è impuro senza esserne contaminati”, disse la seconda. “Possiamo abbattere un Maybe-albero con una Maybe-ascia e sentire un Maybe-suono quando cade - persino se il suono è Nothing, se l’ascia non esiste o se non c’è alcun albero da abbattere.” “Potreste... spiegare questa spiegazione?” chiese Djishin. “Ci permette di programmare senza errori”, disse la terza monaca. “Perché consideriamo una funzione sicura solo se il suo input è l’unica cosa che determina il suo output. Ma quando una funzione trasuda effetti collaterali, da ogni goccia può scaturire un rovo che, con le sue spine, potrebbe intaccare la nostra applicazione. La Monade ci dice come tessere le bende per fermarne il flusso. Noi avvolgiamo la funzione, vincoliamo il Mondo Reale; lo immettiamo, l’agitiamo e l’estraiamo, e questo è tutto.” “E quest’incisione cos’è, codice?” chiese Djishin, meravigliandosi di fronte al monolito. Le monache si scambiarono un’occhiata. “Un giorno, tutti lo riconosceranno come tale, sarà facile come 20 GOTO 10. Ma rispondi a questa domanda: sei un ingegnere informatico?” “Non ne sono più così sicuro”, rispose Djishin, la cui confusione era totale. A quel punto il giovane monaco fu illuminato. Commento di QiIronia della sorte, la Monade ha sempre almeno un effetto collaterale: mi fa sentire un idiota. Poema di QiLo schermo s’oscura. Tradotto da MC. Un estratto da The Codeless Code, di Qi (qi@thecodelesscode.com). Distribuito sotto l' Creative Commons Attribution-NonCommercial 3.0 Unported License. *Many thanks to benzrf for the suggested edits! |