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Un monaco anziano, recentemente affiliato al tempio, si avvicinò al maestro Java con aria frustrata: “Ho ricevuto il compito di aggiungere numerose funzionalità al sistema di elaborazione ordini del Calzolaio Imperiale, ma non riesco ancora a comprendere come funziona. La logica è distribuita tra più applicazioni, ognuna realizzata con tecnologie completamente diverse. Invece di creare programmi di utilità comuni, gli autori hanno semplicemente copiato stralci di codice da un luogo all’altro, spesso introducendo sottili differenze. I processi in esecuzione automatica cercano e modificano record del database senza alcun, documentato, motivo, e il database cospira contro di me: un semplice aggiornamento in una tabella può innescare una cascata di inserimenti ed eliminazioni in altre”. “Vedo due strade davanti a te,” disse il maestro Java. “Nella prima, si effettuano solo le integrazioni necessarie e, rapidamente proclamerai la vittoria. Nella seconda, si inizia l’arduo compito di riprogettare e riscrivere il codice di base. Come pensi di procedere?” Il monaco si inchinò per la vergogna. “Non posso dirlo. Al momento ho paura di toccare qualsiasi cosa, perché la mia ignoranza sarà la prova della mia rovina.” “La paura forgia una buona armatura, ma una misera lama”, annuì il maestro Java. “Per sconfiggere la paura, dobbiamo dissipare la tua ignoranza.” Con il suo bastone aprì la finestra scorrevole e indicò il bosco al di là. “Segui la strada delle Bianche Ortiche per tre giorni, fin sulla montagna, arriverai ad un eremo arroccato su un picco. Vi abita un dotto fratello, che mantiene copia dei documenti dei nostri clienti. Egli ti consiglierà sulla progettazione del sistema.” Il monaco fece come gli era stato ordinato, e al tramonto arrivò all’eremo, che si rivelò un edificio ben diverso da tutti quelli che avesse mai visto. La costruzione era chiaramente iniziata come una robusta casa di pietra sul bordo del picco, ma tre nuove ali di pino grezzo, con ancora la corteccia, si spingevano ben oltre la rupe e sporgevano nel vuoto. Al di là di queste c’erano passerelle aperte e scalette, che terminavano in dozzine di locali arroccati su oblique palificazioni, appoggiate (a malapena) su sporgenze rocciose molto più in basso. Ancorati a questi locali, se ne aggiungevano altri che sporgevano ancora di più nel vuoto, costruiti con bambù inclinati all’impazzata in tutte le direzioni. Rampe e scale fuoriuscivano inferiormente, e conducevano ad altri locali, sospesi con corde e costituiti, principalmente, da canne e paglia. Tutto era tenuto insieme da funi di canapa, legate quà ad un davanzale di una finestra, là ad una banderuola, come se una grande ragno ubriaco avesse catturato un centinaio di capanne nella sua ragnatela. La struttura oscillava malamente nella brezza leggera, scricchiolando. Il monaco rimase per un po’ a bocca aperta, poi si riprese e colpì il gong. L’eremita giunse dalla stanza più lontana, arrampicandosi sulle corde e scendendo sui tetti, scomparendo in una botola di bambù e, infine, riapparendo sull’uscio della capanna. “Che notizie mi porti dal tempio?” Chiese l’eremita. “Sono stato, finalmente, richiamato a casa?” Il monaco disse che non aveva notizie da riportare a tal riguardo. L’eremita chinò il capo. “Misero me! Fino a quando non sarànno pronunciate parole in tal senso, il mio compito è quello di ampliare questo eremo verso l’esterno, oltre il bordo delle rocce, per ospitare la, sempre crescente, raccolta di file temporanei del tempio. L’ho fatto per anni, fedelmente e senza discutere, sperando, un giorno, di guadagnare i favori del maestro e il rientro dall’esilio. Ma confesso che il mio lavoro diventa sempre più difficile con il trascorrere delle stagioni. La neve invernale è così pesante, sui tetti, che le palafitte di bambù cominciano a cedere, e, in estate, devo combattere con le gazze per evitare che le mie pareti di paglia diventino parte del nido di qualcuno. A proposito ... non sei (spero) allergico? Al polline? All’ambrosia? Una volta ho visto sette camere collassare e cadere giù nel precipizio a causa di un vigoroso uno starnuto ... “ “Ma questa è pura follia!” Esclamò il monaco. “Ora che avete un’idea di quante stanze sono necessarie, non riesci a demolire questa mostruosità e ricominciare da capo?” “Che sciocchezza. Immagina il tempo che potrebbe prendere una tale impresa, e come potrebbe scontentare il mio padrone nel frattempo! Come potrei giustificare la dimunizione di magazzini invece di aggiungerne altri? Il mio esilio potrebbe durare un altro decennio! No, è molto più sicuro fare esattamente come mi è stato comandato. Comunque, conosco questo eremo abbastanza bene, i suoi punti forti e quelli deboli, e, dal momento che cammino con passo leggero ed evito il pepe, le mie probabilità di morire per una lunga caduta sono ragionevolmente basse. “Ma basta lamentarsi della mia situazione, sapiente fratello. Se non sei stato inviato qui per richiamarmi a casa, allora vuol dire che hai bisogno del mio aiuto per comprendere il sistema di elaborazione ordini del Calzolaio Imperiale. Molti, come te, sono venuti a tale scopo, perché ne sono io l’autore”. Il monaco, non rispose, si inchinò e tornò di nuovo lungo la strada per la quale era giunto, avendo già ottenuto l’agognata illuminazione dall’eremita. Tradotto da Marco Pastori — Rome, Italy. There is also a different translation by Alessandro Desantis. Un estratto da The Codeless Code, di Qi (qi@thecodelesscode.com). Distribuito sotto l' Creative Commons Attribution-NonCommercial 3.0 Unported License. |